—- La Sfir ——–

La storia dello zuccherificio SFIR di Forlimpopoli, nel più ampio quadro dello sviluppo dell’industria saccarifera italiana, è disponibile gratuitamente al link:

https://www.academia.edu/97950869/La_SFIR_un_grande_zuccherificio_nel_cuore_di_Forlimpopoli

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STORIE DI DECLINO INDUSTRIALE

Avevo cominciato a scrivere le pagine di questo blog due anni dopo l’inizio della crisi SFIR, di cui ero dipendente e dove più o meno volontariamente mi sono trattenuto finchè non mi sono lasciato cacciare a pedate, insieme a centinaia di altri nobilissimi dipendenti. Le scialuppe di salvataggio erano più fragili del transatlantico che andava a picco e valeva la pena rimanere aggrappati alle promesse di riconversione dello zucchero nazionale in qualcosa di bio che non è mai nato: il biodisel, le biomasse, il bioetanolo. Il primo post relativo allo zuccherificio di Forlimpopoli l’ho scritto nel dicembre 2008, di ritorno dal Texas, dove avevo tentato un’esperienza di riconversione professionale procacciata da una fantomatica società di outplacement. Si intitola Piogge e e racconta l’ultimo atto delle demolizioni in un mattino di pioggia autunnale:

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2008/12/16/piogge/

Un secondo post datato 13 Gennaio 2009 denuncia la superficialità e l’ambiguità delle demolizioni: siamo in Italia, possiamo sperare di più?

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2009/01/13/dream-factories/

All’inizio del 2009 scrivo così: “L ’anno nuovo è arrivato come un contenitore vuoto accompagnato dalla lettera ossequiosa del mio Babbo Natale, per il quale il perdurare della grave situazione di crisi… ed il drastico ridimensionamento dell’attività saccarifera europea e nazionale… non è ancora motivo di scandalo, anzi è il pretesto per un altro anno di dignitoso stipendio in cambio di nulla, sotto il nome di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, mentre i vecchi dirigenti già in pensione restano al lavoro con stipendi da favola a pilotare le riconversioni finte: una fabbrica di pomodoro ad Argenta ed una raffineria di zucchero a Brindisi, secondo un progetto di quarantacinque anni fa. I Sindacati prendono su la loro parte e le tensioni si annacquano. Un anno dopo l’altro tutto si aggiusta, o si è aggiustato fino ad ora. Per quanto tempo ancora sarà più vantaggioso distruggere anziché costruire?” Leggi tutto Dumila9.

Alla ricerca di nuove opportunità di lavoro, un commento lo meritano i servizi di outplacement, che non mi hanno portato molta fortuna, anzi non mi hanno portato nessun risultato al di là di un uragano in Texas. Due post raccontano il mio rapporto con i consulenti della società di outplacement “Uomo Impresa”. Fanno un po’ sorridere: si intitolano Out Out e Outplacement.

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2009/03/18/out-out/

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2009/03/12/outplacement/

Nell’afa di una sera di inizio estate 2009, il ricordo dello zuccherificio compare come un fantasma: “c’è un’ora giusta la sera per tornare a Forlimpopoli e sentirne l’anima murata viva di giorno dal cemento, che d’estate riaffiora fra le fessure degli intonaci, come un fuoco fatuo. Da una finestra al piano terra sui vicoli asfaltati arriva la voce del telegiornale della notte, le notizie rapide e l’immediata sigla sinfonica si sentono in strada fra l’alito caldo dei muri. L’ombra di un uomo in canottiera con gli occhiali, un uomo che potrebbe avere quarantacinque anni, dentro quella stanza siede ad ascoltare con indifferenza, prima il telegiornale poi la sigla che cala come un sipario sull’ultimo atto della giornata. E’ ora di cambiare posizione, oppure canale, e la voce di una vecchia madre fa eco invisibile dall’altra stanza. Per uomini così ci vorrebbe un turno di notte in zuccherificio, con tutto il rumore dello zuccherificio acqueo e scrosciante, basso continuo, uuu-tan-tan-tan: i muri del paese ce l’hanno ancora dentro quel rumore e lo esalano di notte come il calore di san Giovanni e dei santi Pietro e Paolo, che si contendono il calendario al solstizio d’estate”. Il cielo sopra Forlimpopoli.

Nel 2009 trascorro l’estate a Berlino in attesa di una riconversione industriale che non arriva e, di ritorno in autunno, il ricordo della fabbrica si fa più insistente. Ne parlo diffusamente in un paio di post ricchi di immagini: La riconversione e La firma che inquadrano la condizione sciocca dei cassintegrati rimasti ad aspettare qualcosa che non c’è, per un tempo interminabile:

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2009/09/21/la-riconversione/

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2009/10/18/la-firma/

Nel 2010 la crisi dello zucchero assume tratti ancora più grotteschi. Alla fine di dicembre 2009 la riunione sindacale nell’ex zuccherificio inquadra una situazione sempre più drammatica, senza prospettive per l’anno nuovo. Ne parlo nel post intitolato L’anno in deroga che potete leggere, come al solito, cliccando sul link. Occhio alle foto! Quelle che sembrano croci, sono le finestre dello zuccherificio che non c’è più.

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2010/01/04/lanno-in-deroga/

Una telefonata del capufficio ormai in pensione, nei primi giorni del 2010 mi esorta ad abbandonare volontariamente il posto di lavoro da dipendente SFIR, prima che sia troppo tardi, per non perdere l’opportunità dell’incentivo all’esodo. Altra strada non è concessa ai dipendenti qualificati in crisi, senza rapporti di familiarità con il padrone. Per la maggior parte del personale la riconversione è una beffa. Leggete con un clic cosa scrivo con malcelata ironia in questo link:

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2010/01/11/il-capufficio/

A cominciare dal mese di gennaio 2010, un incarico da supplente mi fa guardare con nuovo distacco il mio ex lavoro da tecnico dello zucchero. Fra le righe di un nuovo post che parla di riunioni a scuola, i ricordi della vita precedente non si acquietano: “L’accordo sindacale dei lavoratori dello zucchero è ancora una promessa. Per alcuni è una lettera che parla anzitempo di cassa integrazione straordinaria in deroga, per altri è un semplice ricatto. Ritardano i progetti di legge per le “biomasse da filiera breve”, così Eridania minaccia governo e sindacati: si defila dall’accordo bilaterale di cassa integrazione e vuole aprire subito la procedura di mobilità per i suoi lavoratori. Mobilità, no, non è possibile mettere in mobilità solo i lavoratori di Eridania, rompendo così il mondo bieticolo saccarifero italiano ed il suo fronte compatto di riconversioni dismesse. Occorre trovare un’altra via d’uscita, o almemo escogitare la parola giusta per calmare gli animi fino alla fine dell’inverno. Non per tutti c’è la deroga di cassa, ma la mobilità è comunque da evitare. Vista la stagione, è legittima una mobilità congelata. Difatti così dicono alle riunioni zuccheriere di palazzo: per chi ancora non può attingere alla cassa straordinaria in deroga, il destino è sospeso nel fermo immagine di una mobilità congelata.” Mobilità congelata e futuro liquido.

La scadenza della trattativa per il licenziamento prosegue fino a maggio. Nella prima metà del 2010 ho tutto il tempo di ripercorrere le tappe della mia carriera, incontrando i colleghi tecnici dello zucchero ed altri, negli stabilimenti e negli uffici dove lavoravo prima di entrare in cassa integrazione: “Questo dovrebbe essere un ufficio tecnico, con i disegni stampati al plotter che si srotolano in ogni angolo sotto gli occhi dei progettisti, fra avanzi di carta, cartucce d’inchiostro e taglierine. Invece trovo qui un candore di rappresentanza più adatto ad un ufficio di mediazione commerciale che ad un ufficio tecnico. In effetti è così, fatto apposta per compiacere il vecchio padrone, classe 1926, figlio salottiero di un imprenditore dei tubi (Mario Maraldi) scomparso ormai da cinquant’anni”.

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2010/04/11/lufficio-tecnico/

Dopo l’ufficio tecnico, un ritratto a parte lo merita senz’altro il capo del personale.

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2010/04/05/il-capo-del-personale/

Il 26 aprile 2010 scrivo: “in zuccherifico mi hanno fatto compilare una lettera vergata a mano dove recito le mie ultime volontà, in virtù dell’accordo sindacale dell’undici febbraio 2010… Fuori dalla porta della fabbrica hanno rimosso finalmente le macerie e si vede fino in fondo l’orizzonte lontano, con le strade di traffico della nuova campagna senza più agricoltura, tutta strade, lampioni e scali merci. La portineria è ormai chiusa e l’intero ufficio tecnico ha rassegnato le dimissioni. L’impianto di confezionamento funziona col personale trasferito da un’altra azienda in crisi, rilevata per dimostrare buona volontà imprenditoriale ai sindacati che chiedevano un impegno concreto verso la riconversione, ma l’ex personale dello zuccherificio già occupato in portineria resta a casa, a zero ore”.

In attesa del rito consensuale per il licenziamento collettivo presso la sede degli industriale di Cesena, rientro in cassa integrazione ed abbandono l’incarico di supplente di matematica. Le prospettive di diverse vite possibili si confondono nei sogni del mattino, prima del risveglio. “…sognavo spesso lo zuccherificio: arrivavano le barbabietole e non sapevamo dove metterle, perchè la fabbrica era in dismissione. Oppure sognavo di tornare in fabbrica e di trovarla attiva, con gli operai in tuta blu indaffarati a mettere in moto pompe e motori: dappertutto c’era odore di fango, nei tubi giravano solo liquami. Mi accorgevo d’essere lì per errore, volevo andarmene, ma i liquami uscivano dai tubi e formavano uno spessore morbido sul pavimento, che rallentava i passi. Ho anche sognato la fabbrica dismessa, al buio, di notte, come un castello fantasma. E’ strano, ma credo di averla sognata così da bambino, quando mi muovevo in bicicletta attorno allo zuccherificio e non immaginavo che sarei finito là dentro. I sogni si confondono già con i ricordi e arriverà presto il giorno in cui non distinguerò più i sogni recenti da quelli infantili delle mie origini.”

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2010/05/07/sogni/

Prima che il mio nome scompaia dall’orizzonte saccarifero italiano, l’ultimo ricordo va all’impianto di diffusione, il cuore dell’estrazione dello zucchero dalle barbabietole, che nel corso degli anni aveva assorbito le mie migliori energie in un progetto di automazione avveniristico, di ottimizzazione in logica fuzzy. Di questa straordinaria novità non resta nulla: è scomparsa insieme ai rottami ed alla ferraglia arrugginita. Ancora ne parla un articolo dell’International sugar Journal (n.1234 /2002). Leggi cosa racconto in: Il fantasma della diffusione.

In attesa del licenziamento coronato dall’incentivo all’esodo, il 26 maggio 2010 scrivo queste righe: “La fine di un contratto di lavoro a tempo indeterminato prevede la celebrazione di un rito consensuale nella sede dell’Associazione degli Industriali, che a Cesena è proprio lì, sotto il camino dell’ex zuccherificio, in quel terreno ancora carico di memorie agro-industriali cancellate solo in anni recentissimi dalla sterilità della rendita immobiliare a cui ambiscono gli industriali in crisi. Venerdì prossimo salirò anch’io le scale di quell’alveare, insieme ad altri ex colleghi che non ricordo più come sono fatti in faccia, per il giudizio finale.” L’atto finale, vale a dire la cronaca del licenziamento, è scritta in un resoconto dettagliato nel post Cronaca di una formalità, tutto da meditare…

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2010/06/19/cronaca-di-una-formalita/

Ma il ricordo dello zuccherificio non finisce qui: continuano i sogni e le apparizioni, l’ultima in ordine di tempo, la notte prima della morte del “vecchio” Luigi Maraldi, il 13 Agosto 2011. Per la prima volta sono contento di non occupare più il mio posto di lavoro da tecnico dello zucchero. “Qualcuno mi accompagna in fabbrica e mi mostra dov’ero collocato quando lavoravo lì. Giacevo in un loculo, come una tortura dell’inferno dantesco. In effetti l’ambiente che vedo è infernale: caldo terribile, fiamme e gente seminuda che suda e soffre in silenzio. Cos’è mai il lavoro? Eppure non possiamo farne a meno…”

Per chi avesse ancora voglia di leggere, c’è anche il confine della fabbrica. Tutto ciò che resta dello zuccherificio SFIR di Forlimpopoli è una recinzione svuotata.

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2011/07/12/il-confine-della-fabbrica/

Di queste cose (ma anche d’altro) abbiamo avuto occasione di parlarne di nuovo, un sabato di ottobre del 2011, al pranzo della sfir.

https://lorenzoaldini.wordpress.com/2011/10/29/il-pranzo-della-sfir/

§ 11 risposte a —- La Sfir ——–

  • Guglielmo ha detto:

    …mi ero dimenticato di tante cose. Grazie per avermi ricordato dove e come ho trascorso tanti anni.

    Guglielmo

  • Piero ha detto:

    Ciao, ho riletto anch’io nella tua storia, la mia storia. Le speranze, le promesse, le illusioni…
    Mentre la fabbrica cadeva a pezzi, si capiva che la battaglia era persa. Non ci sarebbero stati più il turni e quell’odore acre delle barbabietole. Non ci sarebbero stati più.

    E come alla fine di una guerra, sul campo resta solo l’amarezza delle cose inutili, così anche la vita continua con la sua ironia. (Vedi le manovre su manovre dei governi, dove chi paga di più sono sempre gli stessi.)
    Un caro saluto, Piero

  • Fiumi Angelo ha detto:

    Mi chiamo Fiumi Angelo. Ho lavorato anch’io alla Sfr, dal luglio 1969 a dicembre 1992. Forse gli anni lavorativi più belli della mia vita. Per me il lavoro era parte integrante della vita. Anch’io nel vedere lo Stabilimento così desolato e vuoto provo amarezza e nostalgia.
    Lo so che non si potrà più tornare a quei giorni, ma dispiace per le nuove generazioni che non potranno più avere questa esperienza di tessuto sociale integrato col tessuto lavorativo.
    Un saluto.
    Fiumi Angelo.

  • Tonina ha detto:

    La Sfir e’ associata a ricordi belli e persone importanti della mia vita… Si condivideva il lavoro, ma sopratutto la giornata x ore e ore durante la stagione… E in qto modo ci si univa tanto… Su con gli sgancia sacchi e in laboratorio… Così nn darei per un’ altra stagione alla Sfir … 🙂

  • Mauro ha detto:

    Mauro. Più di trent’ann’ in SFIR (o altre denominazioni di comodo): vita buttata via fra turni e pericoli corsi. Almeno il destino (non penso proprio la premura di chi comandava) mi ha concesso di raggiungere la pensione: di sfaccio come al bigliardo! Triste a dirsi, ma almeno quel pensiero non mi ha devastato dopo anni di tormentati su e giù sulla situazione del settore o dell’azienda.

  • paolo lombardi ha detto:

    Ciao Lorenzo
    mi son permesso di “rubarti” alcune foto della SFIR quando ancora la chiamavo “la mia fabbrica”, ora a quasi 9 anni dalla dipartita del 2006 dal mio posto di lavoro, provo un pò di nostalgia, ma mi ritengo molto fortunato ad essere andato in pensione grazie all’amianto (una roulette russa…). Ricordo i tempi di quando andare al lavoro era un divertimento…poi nel 2006 il divertimento è finito. Ciao e stammi bene

    Lombardi Paolo

    https://www.facebook.com/paolo.lombardi.790

  • giurgein ha detto:

    ciao amici della ex sfir ,è parecchio triste vedere la fine ,di questa fabbrica,è stato come una slavina che ha travolto tutto e tutti ,mi sento fortunato di avere raggiunto la pensione ,ma profondamente dispiaciuto per tutti voi e per il venir meno di uno stabilimento cosi importante per la economia e la occupazione della zona

  • Paolo B. ha detto:

    “L’aristocrazia passa per tre età successive: l’età delle qualità superiori, l’età dei privilegi, l’età delle vanità: uscita dalla prima, degenera nella seconda e si spegne nell’ultima.”
    (“Memorie d’oltretomba” – François René de Chateaubriand)

    Chateaubriand scrive nelle sue memorie della degenerazione progressiva dell’aristocrazia (aristocratico lo era lui stesso). I saggi e i poeti parlano spesso delle tre età dell’uomo (giovinezza, età matura, vecchiaia). Tutti momenti che terminano nella dissoluzione dell’essere.
    Ascanio Celestini nella sua opera teatrale “Fabbrica” parla delle tre età della fabbrica.

    “«Fabbrica» è un racconto teatrale in forma di lettera, la storia di un capoforno alla fine della seconda guerra mondiale raccontata da un operaio assunto per sbaglio. Il capoforno parla della sua famiglia, del padre e del nonno che hanno lavorato nella fabbrica quando il lavoro veniva raccontato all’ esterno in maniera epica. Per il capoforno la fabbrica ha un centro e questo centro è l’altoforno. Tutti lavorano per il buon funzionamento dell’altoforno e i gas dell’altoforno trasformati in energia. elettrica mandano avanti lo stabilimento. L’antica fabbrica aveva bisogno di operai d’acciaio, e i loro nomi erano Libero, Veraspiritanova, Guerriero. L’età di mezzo ha conosciuto l’aristocrazia operaia con gli operai anarchici e comunisti, che neppure il fascismo licenziava perché si rendevano indispensabili alla produzione di guerra. Ma l’età contemporanea ha bisogno di una fabbrica senza operai, una fabbrica vuota dove gli unici operai che la abitano sono quelli che non si riesce a cacciare via: i deformi, quelli che nella fabbrica hanno trovato la disgrazia. Quelli che la fabbrica l’hanno sposata, lasciandole una parte del loro corpo, delle loro storie e della loro identità.”
    (“La Fabbrica” – Ascanio Celestini)

    Mi chiedo rileggendo questi tuoi resoconti della SFIR se in qualche modo la sua storia sia la medesima tratteggiata da Celestini, il declino progressivo e la fine di tutte le fabbriche e dei suoi occupanti nel naufragio del tempo.

    La sogni ancora ?

    • LoAl ha detto:

      La sogno ancora? Certamente, molto spesso in quest’ultima versione: hanno ricostruito la fabbrica, più moderna ed efficiente di quel che era, con gli impiegati e gli operai di nuovo al lavoro, e i dirigenti che si danno da fare con le provviste della mensa aziendale. Anch’io vengo contattato per tornare al lavoro ma qualcosa mi arresta sull’uscio della fabbrica, non riesco ad entrare, non posso tornare a fare parte di quel mondo. Rifletto fra me e me: sarebbe stato meglio se non l’avessero ricostruita questa fabbrica. Poi mi sveglio.

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