Attraverso l’Abruzzo

24 aprile, 2019 § Lascia un commento

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Di ritorno dai riti abruzzesi della settimana santa, resto incerto fino all’ultimo se percorrere a ritroso la strada del versante adriatico, o se avventurarmi nelle gole appenniniche verso l’Aquila, dove ancora si vedono i segni del terremoto di dieci anni fa. I riti di passaggio impongono di non voltarsi indietro, così il sabato di Pasqua lasciamo le gole di Popoli in direzione delle montagne, confidando in una giornata di sole. Ho ancora in mente la Via Crucis della sera prima: la statua di Cristo morto portato in spalla come un morto vero, la banda musicale indaffarata con la marcia funebre di Chopin ed i confratelli della Santa Trinità coi manti rossi, al seguito di Cristo come una falange armata, il passo ondeggiante e le voci in coro. Anche la statua della madonna vestita di nero recitava una parte sulle spalle di altri portatori elegantissimi, per rendere più umano il dolore della morte di un figlio non tutto divino. Popoli è un paese di collina, ma sembra più in alto di quel che è, stretto fra le rive scoscese di tre valli che si diramano al centro dell’Abruzzo. Prima di intraprendere il viaggio di ritorno, sabato mattina sostiamo a San Clemente a Casauria, dove il paesaggio è ancora collinare. Restano sullo sfondo le cime innevate della Maiella, ma in direzione del mare la valle del fiume Pescara si ammorbidisce in colline di argilla. Qui più che altrove il viaggio scopre paesaggi sempre diversi. San Clemente a Casauria è il luogo di un’antica abbazia romanica con alcune fra le più interessanti sculture abruzzesi. Ridotta a rudere dopo le vicende napoleoniche, venne restaurata nei primi anni del Novecento da Pierluigi Calore, che fu anche amico di D’Annunzio. Da secoli ormai non è più adibita al culto, ma dopo il recupero novecentesco è diventata monumento nazionale, come un sacrario laico della memoria di questa valle. Il vento delle gole di Popoli soffia come una brezza ed alimenta incessantemente cinque impianti eolici sul crinale retrostante di guardia alla Maiella. Qui la tecnologia si impone sul paesaggio ma non lo sovrasta. Di là dalle gole di Popoli si apre la conca di Sulmona, che in primavera splende come un paesaggio svizzero. Ai margini dell’altopiano sostiamo nell’abbazia di San Pelino, martire cristiano che racchiude nel nome l’eredità dall’antica stirpe italica dei Peligni. Come San Clemente, anche San Pelino è un edificio romanico di un certo interesse. Le absidi esterne sono la parte più bella, ma la clausura e gli scavi archeologici impediscono di avvicinarsi ad ammirarle. In chiesa le monache preparano i fiori per i riti pasquali, mentre due uomini nel vicino oratorio di Sant’Alessandro scendono le scale di un ripostiglio portando con sé una statua di Cristo risorto che appoggiano in chiesa accanto all’ambone. Sento che parlano del reddito di cittadinanza e di qualcuno che, avendolo ottenuto, preferisce restare chiuso in casa. L’ambone romanico di San Pelino è più minuto di quello di San Clemente, ma rappresenta un’altra eccezionale testimonianza di scultura romanica del dodicesimo secolo. Dell’antica città di Corfinum, di cui l’abbazia-cattedrale di San Pelino raccolse l’eredità, restano tracce di due monumenti sepolcrali nel parco antistante la chiesa. Poco lontano, nella borgata attuale di Corfinio, sostiamo in piazza e prendiamo il caffè in un piccolo bar ricavato nei vani del teatro romano. Chiediamo alla barista informazioni sul museo archeologico “De Nino”, che si trova nella borgata ma è chiuso di mattina. La signora suggerisce in alternativa il panorama delle mura di Corfinio, fresche di restauro. E’ bello il paesaggio abruzzese, ma è di certo meglio la Romagna – dice un’altra donna, amica della barista, che ha un figlio in seminario a Faenza. Il ragazzo è tornato a casa  per le vacanze di Pasqua ed aspetta la madre davanti al bar… ricambia la nostra attenzione con un saluto austero, in piedi, vestito di nero come i preti di una volta.

Potremmo perderci alla ricerca delle tracce archeologiche di Corfinio, ma il viaggio di ritorno si profila impegnativo attraverso le gole di San Venanzio e lungo la valle dell’Aterno fino a L’Aquila. E’ la stessa valle percorsa dalla ferrovia L’Aquila-Sulmona, dove non vedo treni, anche se le infrastrutture sembrano rimesse a nuovo dopo il sisma del 2009. Le gole di San Venanzio offrono uno spettacolo mozzafiato. L’eremo appare sospeso sulle rapide del fiume ed è stretto fra due pareti a strapiombo. L’area verde circostante è attrezzata come un parco d’arte contemporanea, con un chiosco che vende bibite e panini ed offre visite guidate nelle montagne intorno. La ferrovia si inerpica su ponti e gallerie attraverso le gole, poi si adagia nel fondovalle dell’Aterno, mentre la strada corre parallela più su, a mezza costa, dove la valle si allarga in una conca racchiusa dai profili innevati del monte Sirente e del Gran Sasso. I segni del terremoto diventano evidenti nei lavori di ricostruzione e nelle gru disseminate qua e là, così come in certe case inagibili ancora serrate da intelaiature metalliche. Del sisma del 2009 non si nota ormai più la forza devastatrice, ma si coglie l’alacre tenacia del lavoro di ricostruzione che ha coinvolto gran parte del patrimonio lesionato. Ormai in prossimità del capoluogo compaiono i  nuovi quartieri prefabbricati lungo i pendii, che furono al centro di  tante polemiche dopo il sisma. Sembrano ben distribuiti nel paesaggio e danno a questo angolo di Abruzzo un aspetto da cantone svizzero, anche se l’enorme capannone di una ditta costruttrice taglia a metà la valle come una presenza aliena. Neppure la vivace periferia della zona commerciale dell’Aquila mostra segni di grave sofferenza. Mi pare di ravvisare solo un’eco della precarietà post-terremoto nella rosticceria ambulante dove mangiamo ottime carni all’ora di pranzo, sotto una tenda che pare quella di una fiera. Nel giornale leggo il commento del vescovo che vorrebbe annunciare la resurrezione, il prossimo anno, non solo di Cristo ma di tutta L’Aquila (Pasqua 2019).

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